#016 LETTERE STRA VAGANTI • Newsletter Esoterica
M A G G I O - Capitolo 5 : I tatuaggi rituali nelle culture nomadi, storie di folklore berbero
Benvenuti nella sedicesima puntata di questa newsletter!
Vi scrivo dall’Irlanda, atterrata da poco più di un’ora.
La mia guest qui inizia domani, al The Black Poppy di Cork.
Adoro l’aria che si respira qui e la familiarità che ormai ho preso con l’ambiente e la città.
È la terza volta che lavoro in questa terra meravigliosa, e ho ormai sviluppato le mie routine quotidiane: sveglia alle 6:30, palestra, spesa all’English Market sulla strada di ritorno verso casa, se necessario un salto al Tesco più vicino, doccia e dritta in studio per i primi appuntamenti.
Qui, così come in Scozia, mi sento a casa.
Ma torniamo a noi, con l’arrivo di Maggio ho deciso di cambiare leggermente la linea della nostra newsletter, non ci saranno più macro temi per ogni mese, ma ogni domenica sarà un fresh start per un qualunque argomento scelto.
Siete aumentati da quando ho iniziato a scrivere, ma mi chiedo: vi piace il modo in cui stiamo procedendo di domenica in domenica? O cambiereste qualcosa?
Oggi parleremo di un tema molto vicino ai tatuaggi che eseguo. Nonostante quella berbera non sia una tradizione da cui traggo spunto per i miei lavori, ne sono immensamente affascinata. L’ho scoperta tramite alcune colleghe che stimo molto, e non solo perché tatuano in tecnica a mano, ma perché praticano questa arte con criterio e studio, come piace a me.
Una di loro è Marika D’Ernest, collega nello studio di Bari, che lavora a mano da anni, e che meriterebbe molto più seguito di quello che Instagram le permette di avere -se voleste dare un’occhiata al profilo di una professionista seria sul settore, ecco qui il link al suo profilo-
Pronti a partire per una terra ricca di segreti e tradizioni?
Scegliete il posto più morbido del vostro divano e mettetevi comodi, si parte!
Buona lettura!
STRA VAGANDO - INTRECCI ESOTERICI
IN QUESTA SEZIONE, OGNI SETTIMANA CI IMMERGEREMO NEL CUORE DEL TEMA PROPOSTO, ESPLORANDOLO ATTRAVERSO DETTAGLI AFFASCINANTI E STORIE PROVENIENTI DA CULTURE LONTANE E DIVERSE. SARÀ UN VIAGGIO TRA SIMBOLI, TRADIZIONI E CURIOSITÀ, NUOVI MODI DI VEDERE IL MONDO E DI CONNETTERVI CON LE SUE ENERGIE PIÙ PROFONDE.
PRONTI A SCOPRIRE COSA SI CELA DIETRO AL TEMA DI QUESTA SETTIMANA?
Tatuaggi rituali nelle culture nomadi
C’è una memoria che non si scrive su pergamene o pietre, ma che si incide nella carne, attraverso generazioni e deserti, carovane e popoli in cammino.
I tatuaggi rituali sono tra le più antiche forme di magia, un linguaggio silenzioso che lega chi li porta a un passato remoto, fatto di credenze ancestrali, spiriti da onorare e destini da tracciare.
Per i popoli nomadi, che vivevano costantemente in movimento, lontani da città e templi, il corpo stesso diventava un altare, una superficie sacra su cui imprimere simboli di protezione, appartenenza e trasformazione.
Nella vastità del Sahara, tra le vette dell’Atlante o lungo le steppe dell’Asia centrale, i tatuaggi erano strumenti spirituali, amuleti incisi con ago e rudimentali inchiostri per proteggere dal male, attirare la fortuna o segnare i passaggi fondamentali della vita. Erano sigilli di identità tribale, e spesso anche formule magiche invisibili agli occhi di chi non ne conosceva il codice.
Le donne berbere in particolare, hanno mantenuto viva questa tradizione per secoli.
I loro volti e le loro mani raccontano storie attraverso segni geometrici, croci, stelle, occhi e spirali, ognuno con un significato preciso, tramandato di madre in figlia come un testamento silenzioso.
In un mondo in cui la scrittura era privilegio di pochi, la pelle diventava un libro sacro, un intreccio di simboli che proteggevano dal malocchio, segnavano il passaggio all’età adulta o rivelavano il ruolo della donna all’interno della comunità.
Anche il processo di tatuaggio era un rito: non si trattava solo di decorare la pelle, ma di imprimere un’intenzione, un desiderio o una preghiera. L’inchiostro veniva spesso preparato con carbone, cenere, erbe medicinali e, in alcuni casi, mescolato con latte materno o sangue animale, a simboleggiare il legame tra corpo, terra e spirito, erano portali verso un mondo invisibile, dove antenati e forze primordiali vegliavano su chi sapeva onorarli.
Amuleti contro il tempo e il destino
Uno dei segni più diffusi era la Khamsa, la mano di Fatima, che si credeva proteggesse dal malocchio e dalle influenze negative. Spesso era tatuata sulle mani o sulle caviglie, per sigillare l’energia e impedire agli spiriti maligni di intrufolarsi nel corpo. Anche gli occhi apotropaici, stilizzati in forme semplici e geometriche, erano incisi per respingere le forze oscure e vegliare sul benessere della persona che li portava.
Le stelle e i triangoli erano simboli di fertilità e connessione con l’universo. Molte donne berbere si tatuavano piccoli triangoli sulle guance o sulle braccia per favorire gravidanze sane e una vita prospera. Le linee spezzate e le spirali rappresentavano il ciclo della vita e l’eterno ritorno, un concetto centrale nella visione nomade del mondo, dove tutto è transitorio ma nulla si perde davvero.
Si credeva che il dolore provato durante l’incisione fosse un passaggio necessario per attivare la potenza del simbolo: più intenso era il sacrificio, maggiore sarebbe stata la protezione.
Le ragazze berbere ricevevano i loro primi tatuaggi durante l’adolescenza, un segno visibile del passaggio dall’infanzia alla maturità. Questo marchio sulla pelle era una sorta di contratto spirituale: con la tribù, con gli antenati e con la terra che le avrebbe accolte ovunque fossero andate.
Purtroppo, con l’arrivo delle religioni monoteiste e l’influenza del colonialismo, molte di queste tradizioni sono andate perdute. Oggi, il tatuaggio tradizionale berbero è sempre più raro, e le ultime anziane che ancora lo portano raccontano le loro storie con un misto di orgoglio e nostalgia. Nei vicoli delle medine, tra i tappeti stesi al sole e il profumo di spezie, sopravvivono gli ultimi echi di un’arte che un tempo era sacra, e che parlava alla pelle e allo spirito.
Eppure, chi sa guardare con attenzione può ancora trovare tracce di questo passato incise nei volti segnati dal tempo, nelle mani rugose delle anziane, nei simboli che emergono come fantasmi dalla memoria del deserto.
Un sapere antico che non ha bisogno di parole, perché è già scritto nella carne.
Il codice sacro degli Amazigh: Tatuaggio = Esoterismo
Gli Amazigh sono uno dei popoli più antichi del Nord Africa, custodi di una tradizione spirituale che affonda le radici in un tempo in cui il mondo era abitato da spiriti, divinità e forze invisibili.
Per loro, il tatuaggio era una vera e propria forma di magia, un codice esoterico inciso sulla pelle per dialogare con le forze della natura e gli antenati.
La loro cosmologia era intimamente legata ai cicli della vita, alla terra e al cielo, e ogni segno tatuato aveva un significato preciso, spesso connesso a rituali di protezione, guarigione e iniziazione.
Le donne Amazigh erano le principali depositarie di questo sapere e, in alcune comunità, si diceva che possedessero la capacità di canalizzare le energie sottili attraverso i simboli che incidevano sulla pelle.
Non si trattava solo di tracciare linee e punti, ma di attivare un linguaggio sacro capace di influenzare il destino di chi lo portava.
Uno degli elementi più affascinanti a mio parere (ma va?) di questa tradizione era l’uso di formule segrete e rituali durante il tatuaggio.
Le tatuatrici, spesso anziane della tribù, recitavano preghiere, soffiavano sull’ago per caricare il simbolo di energia vitale e mescolavano l’inchiostro con elementi sacri consacrati durante specifiche fasi lunari.
Si credeva che tatuarsi durante la luna nuova o in particolari momenti del calendario amazigh amplificasse il potere del simbolo, rendendolo un vero e proprio talismano vivente.
I simboli più potenti erano quelli legati alla triplice divinità amazigh, una rappresentazione dell’equilibrio tra passato, presente e futuro.
Triangoli e spirali, spesso tatuati sul mento o sulla fronte, rappresentavano la continuità dell’anima attraverso le incarnazioni, mentre croci e stelle erano considerate sigilli contro le forze maligne. Alcune donne portavano un tatuaggio sulla sommità della testa, un piccolo punto o una linea, che si diceva fosse il segno di una connessione con gli spiriti guida, una sorta di “terzo occhio” esoterico che permetteva loro di ricevere visioni e intuizioni.
Inoltre, il tatuaggio tra gli Amazigh era anche un metodo di iniziazione e trasmissione di poteri spirituali. Si credeva che alcune donne nate con il “dono della visione” dovessero essere tatuate in punti specifici per risvegliare le loro capacità latenti. Queste donne diventavano poi guaritrici, indovine e sacerdotesse, capaci di leggere il futuro nei sogni, curare con erbe e incantesimi e proteggere la comunità dai malefici.
Ma il tatuaggio tra gli Amazigh era anche un atto di ribellione spirituale.
Con l’arrivo dell’Islam, molti leader religiosi tentarono di sopprimere queste pratiche, considerandole superstizione o paganesimo. Tuttavia, per molte donne, cancellare i tatuaggi equivaleva a cancellare la loro identità, il loro legame con il passato e con la magia delle loro antenate.
Così, nei villaggi più remoti, questa tradizione è sopravvissuta come un sussurro, nelle mani rugose che raccontano storie senza bisogno di parole, e nei volti segnati da simboli che parlano ancora di un’epoca in cui il tatuaggio era un portale tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti.
SPAZI SACRI - IL TUO MOMENTO RITUALE
IN QUESTA SEZIONE TROVERETE OGNI SETTIMANA UN RITUALE PENSATO PER CONNETTERVI CON IL TEMA PROPOSTO. PICCOLE PRATICHE MAGICHE DA VIVERE E SPERIMENTARE NELLA TRANQUILLITÀ DI CASA.
Rituale del Viaggiatore: la Benedizione delle Stelle per Non Perdersi Mai
Nelle antiche tradizioni nomadi, viaggiare non era solo un movimento fisico, ma un atto sacro. Ogni spostamento era una danza tra il visibile e l’invisibile, un dialogo con le forze della natura e con gli spiriti della terra e del cielo. Prima di intraprendere un lungo viaggio, i carovanieri e i nomadi amazigh eseguivano piccoli rituali per chiedere protezione, orientamento e fortuna lungo il cammino.
Vi propongo un rituale ispirato a queste tradizioni, un gesto semplice ma carico di significato, per chiunque si senta in un momento di transizione o abbia bisogno di trovare la propria direzione, sia essa fisica, mentale o spirituale.
OCCORRENTE
• Una piccola ciotola di terra o sabbia (simbolo della terra e della stabilità)
• Una candela blu o bianca (simbolo del cielo e della luce interiore)
• Un pugno di sale grosso (simbolo della protezione e della purificazione)
• Un pezzo di stoffa blu o scuro (simbolo della notte e delle stelle)
• Una piccola ciotola d’acqua (simbolo della fluidità e dell’adattamento)
• Una manciata di spezie profumate (cumino, cannella o zafferano, simboli della ricchezza del viaggio)
• Un filo o un piccolo amuleto da portare con sé
PROCEDIMENTO
Creare il cerchio sacro
Sedetevi in un luogo tranquillo, possibilmente sotto il cielo notturno o vicino a una finestra. Disponete gli elementi davanti a voi in un cerchio, con la terra/sabbia a sud, la candela a nord, il sale a ovest e l’acqua a est.
Accendere la luce guida
Accendete la candela con un’intenzione chiara: protezione, direzione, saggezza nel cammino. Immaginate la sua fiamma come una stella che brilla sopra di voi, guidandovi ovunque andiate.
Benedire il cammino
Prendete un pizzico di sale e fatelo scivolare nell’acqua, mescolando lentamente con le dita. Mentre lo fate, sussurrate parole di protezione per voi stessi o per qualcuno che amate:
“Come le stelle nel cielo, così io troverò sempre la mia strada. Nessun vento mi disperderà, nessuna notte sarà troppo oscura.”
Segnare la propria direzione
Prendete la sabbia o la terra e lasciatela cadere tra le dita, come a simboleggiare che il passato scorre via e il futuro è ancora da scrivere. Se siete in un momento di incertezza, pensate alle direzioni che potreste prendere, ai sentieri che vi chiamano.
Il legame con le stelle
Prendete il pezzo di stoffa e annodatevi dentro il filo o l’amuleto scelto. Questo oggetto sarà il vostro “segno”, un piccolo ricordo del cielo e delle antiche rotte nomadi. Tenetelo con voi nei viaggi o nei momenti in cui sentite il bisogno di orientamento.
Chiudere il rito
Soffiate delicatamente sulla candela, immaginando che il vostro respiro porti via le incertezze e le paure. Se potete, lasciate la ciotola con l’acqua e il sale fuori per una notte, affinché assorba l’energia delle stelle. Il mattino seguente, versatela sulla terra o in una pianta, restituendo alla natura ciò che vi ha donato.
LETTERE FOLK - RACCONTI DAL MONDO
QUESTA SEZIONE SARÀ UNA PORTA VERSO NUOVI MONDI. ATTRAVERSO I RACCONTI FOLKLORISTICI POTREMO ESPLORARE IL MODO IN CUI DIVERSE CULTURE HANNO DATO SENSO AL MONDO, AI SUOI MISTERI E ALLE SUE FORZE INVISIBILI.
IL FOLKLORE CI RICORDA CHE LA SAGGEZZA NON È ESCLUSIVAMENTE RAZIONALE, MA VIVE RADICATA NEI RACCONTI CHE RISUONANO CON IL NOSTRO LATO PIÙ INTUITIVO.
OGNI RACCONTO VI AIUTERÀ AD ENTRARE IN SINTONIA CON IL TEMA PROPOSTO, OFFRENDOVI UNA PROSPETTIVA PIÙ AMPIA E CONNETTENDOVI A RADICI SIMBOLICHE E RITUALISTICHE CHE COME UN FILO INVISIBILE, CI ACCOMUNANO TUTTI.
La donna che portava il cielo sulla pelle
“Il vento soffiava senza tregua, sollevando veli di sabbia dorata che danzavano nel vuoto, cancellando ogni traccia di sentiero. Il sole del deserto, implacabile e impassibile, bruciava ogni cosa sotto di sé, trasformando le dune in onde di fuoco e silenzio. La carovana avanzava lenta, stremata dalla sete e dalla paura, persa in quel mare di granelli senza confini.
I cammelli gemevano, i viaggiatori stringevano i mantelli al volto per proteggersi dalla tempesta sottile che graffiava la pelle come lame invisibili. Il capo carovaniere, un uomo dalla barba brizzolata e lo sguardo cupo, scrutava l’orizzonte con occhi vuoti. Aveva percorso quelle rotte decine di volte, eppure, quella notte, il deserto si era chiuso su di loro come una bestia in agguato, inghiottendoli nel nulla.
Fu allora che una voce, calma come il respiro della notte, si levò tra i viaggiatori.
— “Non siamo persi. Il cielo è con noi.”
A parlare era una donna avvolta in un velo blu scuro, con il volto segnato dal tempo e dagli inchiostri sacri. Si chiamava Tafsut, nome che nel linguaggio amazigh significava “primavera”. Era una guaritrice, una veggente, una di quelle donne che conoscevano i sussurri del vento e i segreti delle stelle. Sotto la luce fioca della luna, scoprì lentamente le braccia, mostrando alla carovana ciò che portava impresso nella carne.
Sulla sua pelle bruna brillavano segni neri: punti, linee, croci e stelle, intrecciati in un disegno tanto antico quanto il deserto stesso.
— “Guardate,” disse, tendendo le mani verso il cielo. “Le stelle sono qui, incise sulla mia pelle. Sono la nostra guida.”
I viaggiatori si avvicinarono, confusi. Poi il più anziano tra loro, un uomo che aveva vissuto più anni di quanti ne potesse contare, si chinò a osservare meglio e il suo volto si illuminò di stupore.
— “È la mappa del cielo.”
Tafsut annuì. Il tatuaggio sulle sue braccia riproduceva fedelmente la disposizione delle costellazioni del deserto, quelle che i carovanieri usavano da secoli per orientarsi nelle notti senza luna. Le stelle più luminose erano segnate con punti più grandi, mentre le linee sottili tracciavano il percorso che le univa. Lei non aveva bisogno di guardare in alto per sapere dove fossero: il cielo viveva già nel suo corpo.
Affidandosi a quella mappa viva, i carovanieri cominciarono a camminare. Tafsut tracciava il cammino con sicurezza, muovendosi con la stessa grazia di chi ascolta una melodia che solo lui può sentire. I viaggiatori la seguirono, passo dopo passo, pregando gli dèi affinché le stelle impresse sulla sua pelle fossero davvero la chiave per uscire dall’oblio del deserto.
Camminarono per ore, fino a quando la luce dell’alba tinse di rosso il bordo dell’orizzonte. E poi, tra le ombre tremolanti del sole nascente, videro finalmente un profilo familiare: un’oasi, con le sue palme scure e l’acqua scintillante come un miraggio reso reale.
Si salvarono. Grazie a lei.
Tafsut non chiese nulla in cambio. Quando il capo carovaniere le porse un sacchetto di monete d’argento in segno di gratitudine, lei sorrise appena e lo restituì con dolce fermezza.
— “Il cielo non chiede ricompensa,” disse, coprendo di nuovo le braccia con il velo. “Basta saperlo ascoltare.”
E così, mentre i viaggiatori si dissetavano e riposavano all’ombra delle palme, Tafsut si allontanò nel silenzio, confondendosi tra le dune.
Da quel giorno, i carovanieri raccontarono la sua storia ad ogni mercante, ad ogni viandante, ad ogni nomade che attraversava il Sahara. La donna che portava il cielo sulla pelle divenne leggenda, un mito sussurrato nelle notti del deserto, tra il crepitio dei fuochi e il sussurro del vento tra le tende.
E si dice che, in certe notti, quando la sabbia danza al chiaro di luna e il deserto si fa infinito, si possano ancora scorgere le sue impronte tra le dune, guidando chi è perduto verso la salvezza.“
STRAVAGAN DATE - APERTURA AGENDE IN ANTEPRIMA, GUEST UPDATES, EVENTI
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T O R I N O
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VAGANTE